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Cresce il gap tra generazioni: in Italia un under 16 su 3 è povero
I ragazzi sono più poveri della media degli anziani. Il gap è tra generazioni? Gli anziani hanno strumenti per affrontare le difficoltà: un sistema previdenziale, le pensioni che si sono guadagnati, gli assegni sociali che sono da tempo quella pensione di cittadinanza che qualcuno pensa di avere inventato ora. Per i bambini e i ragazzi, per le loro famiglie, sino a pochi anni fa non c’era alcun vero sostegno al reddito e e per il contrasto alla loro povertà. Soprattutto, sono cresciute le possibilità di rimanere poveri per i figli di chi è povero: questo è, tra i problemi, forse il problema più grande. È successo perché gli anziani hanno le pensioni o gli assegni sociali? No. Fidatevi, no, no. Il gap è un altro. Non tra generazioni. È un inganno: indicare il “nemico” sbagliato serve a nascondere il nemico vero
Cresce il gap tra generazioni: in Italia un under 16 su 3 è povero
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Della legge Fornero e altre storie, ovvero di pensioni e di lavoro!
Che la campagna elettorale sia entrata nel vivo ce lo dicono tante parole in libertà, di chi ha già dato pessima prova di sé in passato o di chi si capisce bene che non sa dove mettere le mani. In questo caso si straparla di legge Fornero. Tra il dire e il fare ci sta di mezzo…il mare…Vediamo perché.
La legge Fornero, dal 2012 a oggi, è stata già cambiata, dove e come è stato possibile. Lo sanno coloro che sono riusciti ad andare in pensione o hanno riconquistato la possibilità di farlo. Sono 250.000 lavoratori e lavoratrici. Poi ci sono quelli che hanno riavuto la pensione intera e non ridotta perché “precoci”, e coloro che non pagano più tanti soldi per mettere insieme contributi versati in gestioni diverse (ma quel cumulo oneroso non mettiamolo in conto alla Fornero, viene da prima).
Ma certamente non è abbastanza.
A chi vuole “abrogare”, lasciate dire. Nella migliore delle ipotesi non sa quello che dice, nella peggiore fa promesse elettorali che sanno di marchette che non potranno essere mantenute.
La legge “Salva Italia”, chiamata così non a caso, salvò l’Italia da come l’aveva lasciata il centro destra guidato da Berlusconi e sostenuto dalla Lega. Rassicurò, come usava dire, i mercati finanziari e i “burocrati europei”. E per questo è così difficile dire che la si cambia.
Ma cambiata l’abbiamo già. E cambiare ancora si può, senza mettere in discussione la tenuta del sistema previdenziale.
* Cosa si è fatto in questi anni?
Si sono realizzati otto provvedimenti, che hanno riconsegnato a 153.000 lavoratori “esodati” la possibilità di andare in pensione con le vecchie regole; si è completata la sperimentazione di Opzione Donna, per altre 36.000 lavoratrici; con l’APE sociale, andranno in pensione, a partire dai 63 anni, circa 60.000 lavoratori delle 15 categorie delle attività gravose (ai quali si è anche bloccato l’innalzamento dell’età pensionabile), o che sono disoccupati o assistono familiari disabili gravi.
I lavoratori precoci in quelle stesse condizioni particolari possono andare con 41 anni di contributi (anziché 42 e 10 mesi se uomini, o 43 e 3 mesi dal 2019).
L’Italia “salvata” allora, ma ancora con un po’ di problemi e vincoli, ha comunque riportato nel sistema previdenziale circa 20 miliardi di euro per fare queste cose. Non promesse. Risorse.
Attenzione: ci siamo occupati prima dei lavoratori più “anziani”, perché era più urgente risolvere il loro problema. Che ci sia stato un risultato lo dimostra il fatto che l’età media effettiva del pensionamento è oggi intorno ai 62 anni. Ma abbiamo lasciato nell’incertezza e con prospettive agre gli altri (e le altre). Dare risposte anche a loro deve essere l’obiettivo dei prossimi anni.
* Cosa si può fare ancora, senza raccontare favole?
- una parte delle risorse già destinate con quei provvedimenti non sarà spesa (perché INPS e Ragioneria dello Stato sono sempre “prudenti” nel fare i conti, e qualche volta li sbagliano di grosso): prima cosa quindi, recuperarli tutti e usarli per fare andare in pensione altre persone;
- la possibilità di andare in pensione a 63 anni se disoccupati o con problemi sociali rilevanti deve diventare permanente (i 41 anni per i precoci lo sono già). Per come è concepita l’APE sociale, di spesa sociale si tratta, non previdenziale, con buona pace dell’Europa, che ci spiega sempre che la nostra è inferiore alla media;
- i lavori non sono tutti uguali: ai lavori più gravosi deve essere riconosciuta la possibilità di andare in pensione prima: a quelli già individuati possono esserne aggiunti altri (questa prospettiva è già messa in conto e ci sarà un lavoro di approfondimento in quella direzione). Per questo servono risorse, che devono e possono essere trovate;
- il lavoro di cura, soprattutto per le donne, condiziona la vita lavorativa e quindi il destino pensionistico delle persone: deve essere considerato tra le ragioni per anticipare la pensione;
- ci sono molte situazioni in cui interpretazioni restrittive, o vere resistenze passive, dell’INPS compromettono o ritardano la possibilità di utilizzare gli strumenti che ci sono per andare in pensione con requisiti umani: le resistenze ad affrontare questa questione possono essere finalmente superate;
- con risorse contenute (perché si tratta di cominciare) si può iniziare a costruire qualcosa per l’avvenire, per chi andrà in pensione tra venti o trent’anni, perché nessuno dei giovani debba dire “in pensione non ci andrò mai”: si chiama pensione di garanzia, torneremo a parlarne.
* Cosa permetterà di avere un sistema di previdenza giusto e sostenibile?
Che ci sia una quantità sufficiente di contributi versati, e quindi lavoro regolare e giustamente retribuito e una economia che produce ricchezza e la distribuisce equamente; e magari che non si scarichino sulle pensioni altri problemi sociali, come è accaduto. Intervenire sulle pensioni non può prescindere dagli interventi su economia e lavoro. Crescita (del mercato interno e delle esportazioni, quindi sostegno alla piccola e media impresa, soprattutto) assunzioni (conseguenza della crescita che riprende, delle agevolazioni contributive sul lavoro con l’abbattimento del cuneo fiscale, della lotta al lavoro sommerso), un equo sistema di redistribuzione della ricchezza e pensioni sono tra loro interconnessi. Sono l’uno la conseguenza dell’altro. Se non si parla di questo, non si parla di nulla.
Altrimenti saranno “messe dette”. E non ne abbiamo né voglia, né bisogno.
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Tasse universitarie: abolirle indiscriminatamente non è la soluzione
I figli delle famiglie con un basso reddito non riescono più ad andare all’università.
Abolire le tasse universitarie per tutti? No, agevolare indiscriminatamente non è la soluzione.
Meglio proseguire in quello che abbiamo già fatto in questi anni (no tasse sino a 13.000 euro di Isee e riduzione tasse sino a 30.000)
Rispetto alle opinioni che circolano nel Pd, un’idea diversa: si continua a dire che i meritevoli devono poter andare avanti; e quindi si punta sulle borse di studio per chi ha buoni risultati.
Io la penso in altro modo. Perché tra quelli che hanno meno risorse economiche devono andare avanti solo i “meritevoli”? e invece “i ricchi” hanno opportunità anche se vanno “così e così”?
La scelta giusta è quella che abbiamo fatto in questi anni: se sei in pari con gli esami (non oltre un anno di ritardo) e hai reddito basso non paghi le tasse.
Se questo l’abbiamo già fatto cosa resta da fare? Alzare la soglia di reddito per ampliare questa opportunità e prevedere contributi per le altre spese per la frequenza universitaria (testi, residenze, trasporti).
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Si chiude così la XVII Legislatura.
Il Presidente Mattarella ha sciolto le Camere. Si chiude così la XVII Legislatura.
Una Legislatura con il centro sinistra al governo, che grazie al lavoro nelle Commissioni e in Aula ha legiferato molto e in molti casi anche molto bene. Sono convinta che abbiamo reso un po’ migliore l’Italia rispetto a come l’abbiamo trovata. Siamo stati capaci di “ridurre il danno” di una manovra “Fornero” sulla previdenza che nel 2011 aveva allontanato di molti anni il traguardo della pensione. Abbiamo ridotto il costo del lavoro per far ripartire le assunzioni.
Abbiamo agito sia sul piano delle manovre economiche, con leggi di stabilità che rimettessero in moto il paese e lo portassero, pur con tutte le difficoltà della congiuntura, fuori del guado; sia sul piano ideale dei diritti di civiltà.
Penso alla ratifica della convenzione di Istanbul nel 2013 contro la violenza di genere, all’equo compenso per i professionisti nel 2017. Al contrasto al caporalato, alla lotta alla povertà con il Reddito di inclusione sociale, e poi, finalmente, recentissimo, il testamento biologico. La legge sul Dopo di noi, le Unioni civili, il codice antimafia, il contrasto al gioco d’azzardo, solo per citarne alcune. In Commissione Lavoro siamo stati anche impegnati per correggere la “legge Fornero” e garantire nuovi diritti a categorie di lavoratori che non li avevano.
Altre battaglie per ora non hanno raggiunto l’obiettivo, come quella per lo ius soli, ma era giusto combatterle. Non sono battaglie perse, è solo questione di tempo.
Abbiamo lavorato, con determinazione e passione, discusso. Litigato, anche. È stata un’esperienza bella e complicata. Potevamo, potevo fare di più? Forse sì. Perché se le cose sono andate via via migliorando, tante, troppe persone, non stanno ancora sentendo concretamente sulla loro pelle l’uscita dalla crisi.
Ho cercato di essere la “deputata del territorio”, in connessione con chi in questa zona ha avuto più problemi: il nostro porto, la Tirreno Power, la Piaggio, la Bombardier, altre aziende in difficoltà, sino al riconoscimento dell’Area di Crisi Complessa. Ho lavorato per dare un senso alla funzione che mi è stata affidata e per onorarla: rappresentare in Parlamento le donne e gli uomini del mio territorio.
Ringrazio tutti quelli che mi sono stati vicini e mi hanno sostenuto, ma anche tutti coloro che mi hanno criticata e spronata a fare di più.
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Cresce il gap tra generazioni: in Italia un under 16 su 3 è povero
I ragazzi sono più poveri della media degli anziani. Il gap è tra generazioni? Gli anziani hanno strumenti per affrontare le difficoltà: un sistema previdenziale, le pensioni che si sono guadagnati, gli assegni sociali che sono da tempo quella pensione di cittadinanza che qualcuno pensa di avere inventato ora. Per i bambini e i ragazzi, per le loro famiglie, sino a pochi anni fa non c’era alcun vero sostegno al reddito e e per il contrasto alla loro povertà. Soprattutto, sono cresciute le possibilità di rimanere poveri per i figli di chi è povero: questo è, tra i problemi, forse il problema più grande. È successo perché gli anziani hanno le pensioni o gli assegni sociali? No. Fidatevi, no, no. Il gap è un altro. Non tra generazioni. È un inganno: indicare il “nemico” sbagliato serve a nascondere il nemico vero
Cresce il gap tra generazioni: in Italia un under 16 su 3 è povero
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Della legge Fornero e altre storie, ovvero di pensioni e di lavoro!
Che la campagna elettorale sia entrata nel vivo ce lo dicono tante parole in libertà, di chi ha già dato pessima prova di sé in passato o di chi si capisce bene che non sa dove mettere le mani. In questo caso si straparla di legge Fornero. Tra il dire e il fare ci sta di mezzo…il mare…Vediamo perché.
La legge Fornero, dal 2012 a oggi, è stata già cambiata, dove e come è stato possibile. Lo sanno coloro che sono riusciti ad andare in pensione o hanno riconquistato la possibilità di farlo. Sono 250.000 lavoratori e lavoratrici. Poi ci sono quelli che hanno riavuto la pensione intera e non ridotta perché “precoci”, e coloro che non pagano più tanti soldi per mettere insieme contributi versati in gestioni diverse (ma quel cumulo oneroso non mettiamolo in conto alla Fornero, viene da prima).
Ma certamente non è abbastanza.
A chi vuole “abrogare”, lasciate dire. Nella migliore delle ipotesi non sa quello che dice, nella peggiore fa promesse elettorali che sanno di marchette che non potranno essere mantenute.
La legge “Salva Italia”, chiamata così non a caso, salvò l’Italia da come l’aveva lasciata il centro destra guidato da Berlusconi e sostenuto dalla Lega. Rassicurò, come usava dire, i mercati finanziari e i “burocrati europei”. E per questo è così difficile dire che la si cambia.
Ma cambiata l’abbiamo già. E cambiare ancora si può, senza mettere in discussione la tenuta del sistema previdenziale.
* Cosa si è fatto in questi anni?
Si sono realizzati otto provvedimenti, che hanno riconsegnato a 153.000 lavoratori “esodati” la possibilità di andare in pensione con le vecchie regole; si è completata la sperimentazione di Opzione Donna, per altre 36.000 lavoratrici; con l’APE sociale, andranno in pensione, a partire dai 63 anni, circa 60.000 lavoratori delle 15 categorie delle attività gravose (ai quali si è anche bloccato l’innalzamento dell’età pensionabile), o che sono disoccupati o assistono familiari disabili gravi.
I lavoratori precoci in quelle stesse condizioni particolari possono andare con 41 anni di contributi (anziché 42 e 10 mesi se uomini, o 43 e 3 mesi dal 2019).
L’Italia “salvata” allora, ma ancora con un po’ di problemi e vincoli, ha comunque riportato nel sistema previdenziale circa 20 miliardi di euro per fare queste cose. Non promesse. Risorse.
Attenzione: ci siamo occupati prima dei lavoratori più “anziani”, perché era più urgente risolvere il loro problema. Che ci sia stato un risultato lo dimostra il fatto che l’età media effettiva del pensionamento è oggi intorno ai 62 anni. Ma abbiamo lasciato nell’incertezza e con prospettive agre gli altri (e le altre). Dare risposte anche a loro deve essere l’obiettivo dei prossimi anni.
* Cosa si può fare ancora, senza raccontare favole?
- una parte delle risorse già destinate con quei provvedimenti non sarà spesa (perché INPS e Ragioneria dello Stato sono sempre “prudenti” nel fare i conti, e qualche volta li sbagliano di grosso): prima cosa quindi, recuperarli tutti e usarli per fare andare in pensione altre persone;
- la possibilità di andare in pensione a 63 anni se disoccupati o con problemi sociali rilevanti deve diventare permanente (i 41 anni per i precoci lo sono già). Per come è concepita l’APE sociale, di spesa sociale si tratta, non previdenziale, con buona pace dell’Europa, che ci spiega sempre che la nostra è inferiore alla media;
- i lavori non sono tutti uguali: ai lavori più gravosi deve essere riconosciuta la possibilità di andare in pensione prima: a quelli già individuati possono esserne aggiunti altri (questa prospettiva è già messa in conto e ci sarà un lavoro di approfondimento in quella direzione). Per questo servono risorse, che devono e possono essere trovate;
- il lavoro di cura, soprattutto per le donne, condiziona la vita lavorativa e quindi il destino pensionistico delle persone: deve essere considerato tra le ragioni per anticipare la pensione;
- ci sono molte situazioni in cui interpretazioni restrittive, o vere resistenze passive, dell’INPS compromettono o ritardano la possibilità di utilizzare gli strumenti che ci sono per andare in pensione con requisiti umani: le resistenze ad affrontare questa questione possono essere finalmente superate;
- con risorse contenute (perché si tratta di cominciare) si può iniziare a costruire qualcosa per l’avvenire, per chi andrà in pensione tra venti o trent’anni, perché nessuno dei giovani debba dire “in pensione non ci andrò mai”: si chiama pensione di garanzia, torneremo a parlarne.
* Cosa permetterà di avere un sistema di previdenza giusto e sostenibile?
Che ci sia una quantità sufficiente di contributi versati, e quindi lavoro regolare e giustamente retribuito e una economia che produce ricchezza e la distribuisce equamente; e magari che non si scarichino sulle pensioni altri problemi sociali, come è accaduto. Intervenire sulle pensioni non può prescindere dagli interventi su economia e lavoro. Crescita (del mercato interno e delle esportazioni, quindi sostegno alla piccola e media impresa, soprattutto) assunzioni (conseguenza della crescita che riprende, delle agevolazioni contributive sul lavoro con l’abbattimento del cuneo fiscale, della lotta al lavoro sommerso), un equo sistema di redistribuzione della ricchezza e pensioni sono tra loro interconnessi. Sono l’uno la conseguenza dell’altro. Se non si parla di questo, non si parla di nulla.
Altrimenti saranno “messe dette”. E non ne abbiamo né voglia, né bisogno.
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Tasse universitarie: abolirle indiscriminatamente non è la soluzione
I figli delle famiglie con un basso reddito non riescono più ad andare all’università.
Abolire le tasse universitarie per tutti? No, agevolare indiscriminatamente non è la soluzione.
Meglio proseguire in quello che abbiamo già fatto in questi anni (no tasse sino a 13.000 euro di Isee e riduzione tasse sino a 30.000)
Rispetto alle opinioni che circolano nel Pd, un’idea diversa: si continua a dire che i meritevoli devono poter andare avanti; e quindi si punta sulle borse di studio per chi ha buoni risultati.
Io la penso in altro modo. Perché tra quelli che hanno meno risorse economiche devono andare avanti solo i “meritevoli”? e invece “i ricchi” hanno opportunità anche se vanno “così e così”?
La scelta giusta è quella che abbiamo fatto in questi anni: se sei in pari con gli esami (non oltre un anno di ritardo) e hai reddito basso non paghi le tasse.
Se questo l’abbiamo già fatto cosa resta da fare? Alzare la soglia di reddito per ampliare questa opportunità e prevedere contributi per le altre spese per la frequenza universitaria (testi, residenze, trasporti).

Si chiude così la XVII Legislatura.
Il Presidente Mattarella ha sciolto le Camere. Si chiude così la XVII Legislatura.
Una Legislatura con il centro sinistra al governo, che grazie al lavoro nelle Commissioni e in Aula ha legiferato molto e in molti casi anche molto bene. Sono convinta che abbiamo reso un po’ migliore l’Italia rispetto a come l’abbiamo trovata. Siamo stati capaci di “ridurre il danno” di una manovra “Fornero” sulla previdenza che nel 2011 aveva allontanato di molti anni il traguardo della pensione. Abbiamo ridotto il costo del lavoro per far ripartire le assunzioni.
Abbiamo agito sia sul piano delle manovre economiche, con leggi di stabilità che rimettessero in moto il paese e lo portassero, pur con tutte le difficoltà della congiuntura, fuori del guado; sia sul piano ideale dei diritti di civiltà.
Penso alla ratifica della convenzione di Istanbul nel 2013 contro la violenza di genere, all’equo compenso per i professionisti nel 2017. Al contrasto al caporalato, alla lotta alla povertà con il Reddito di inclusione sociale, e poi, finalmente, recentissimo, il testamento biologico. La legge sul Dopo di noi, le Unioni civili, il codice antimafia, il contrasto al gioco d’azzardo, solo per citarne alcune. In Commissione Lavoro siamo stati anche impegnati per correggere la “legge Fornero” e garantire nuovi diritti a categorie di lavoratori che non li avevano.
Altre battaglie per ora non hanno raggiunto l’obiettivo, come quella per lo ius soli, ma era giusto combatterle. Non sono battaglie perse, è solo questione di tempo.
Abbiamo lavorato, con determinazione e passione, discusso. Litigato, anche. È stata un’esperienza bella e complicata. Potevamo, potevo fare di più? Forse sì. Perché se le cose sono andate via via migliorando, tante, troppe persone, non stanno ancora sentendo concretamente sulla loro pelle l’uscita dalla crisi.
Ho cercato di essere la “deputata del territorio”, in connessione con chi in questa zona ha avuto più problemi: il nostro porto, la Tirreno Power, la Piaggio, la Bombardier, altre aziende in difficoltà, sino al riconoscimento dell’Area di Crisi Complessa. Ho lavorato per dare un senso alla funzione che mi è stata affidata e per onorarla: rappresentare in Parlamento le donne e gli uomini del mio territorio.
Ringrazio tutti quelli che mi sono stati vicini e mi hanno sostenuto, ma anche tutti coloro che mi hanno criticata e spronata a fare di più.
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