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Si chiama sconfitta
Parto dal ringraziare chi si è impegnato nella campagna elettorale, chi ha votato Pd, chi lo ha fatto anche con sofferenza (in tanti me lo hanno detto), per convinzione politica, o come ultima spiaggia o per stima personale.
Si chiama sconfitta, naturalmente. Ma è sconfitta non solo di una lista, di un partito in una competizione elettorale. Nessun diverso approccio alla campagna elettorale, nessuna mossa tattica, nessun colpo di teatro, e neppure un altro metodo di selezione delle candidature, avrebbe modificato sostanzialmente il risultato: neanche le persone sono state, siamo stati, “valore aggiunto”, se non in qualche isolato caso.
Perché sono processi profondi che hanno portato a questo risultato, è una crisi di proposta politica e di gruppi dirigenti.
L’azione di governo, i suoi stessi risultati, non sono stati percepiti dalla gran parte delle persone come tali, come risposta ad un malessere non solo materiale di tanti: soprattutto di chi sta peggio, o comunque peggio di prima.
I tentativi di rompere incrostazioni e rendite di posizione che in questi anni sono stati realizzati hanno avuto uno stampo “dirigista”, che non ha coinvolto in una trasformazione vera la società e le sue espressioni: per questo rimane solo la reazione negativa di quei poteri o rendite.
L’altalena di alti e bassi nel consenso, che in pochi anni ha portato il Pd prima a crescere e poi sostanzialmente a dimezzarsi, ha rappresentato un fenomeno “alla superficie” di qualcosa che sta in processi economico/finanziari, sociali degli assetti del potere, che non riguardano certo solo l’Italia
Inoltre, le ragioni del mutato quadro politico non possono essere ricercate nella “crisi dei partiti”. Il Pd si è fatto sempre meno partito, ma il Movimento Cinque stelle si è fatto sempre più “partito”, da movimento a forza che si candida a governare: come lo vedremo (forse).
Tutta la sinistra è spiazzata: divisa o unita, come ci hanno dimostrato le comunali a Genova.
Non penso che abbiamo sbagliato tutto. Ma l’opinione dell’elettorato non lascia margini di ambiguità. E ci si devono fare i conti.
Ci sarà il tempo di analisi meno superficiale e di decisioni che siano conseguenti.
La consapevolezza è l’unico modo per non vivere questo dopo voto solo con amarezza
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Un filo rosso per…
Un filo rosso per…continuare a lavorare insieme
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Io Voto per un’Italia migliore. E Possibile
Il racconto di questo video è tratto dal Testo della filastrocca Il Paese Senza Errori di Gianni Rodari.
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Un sostegno reale per chi diventa genitore
Sono state tante in questi ultimi anni, le novità messe in campo da Parlamento e Governo per aiutare economicamente le giovani famiglie e favorire l’occupazione femminile.
Si tratta di veri e propri diritti riconosciuti ai nuovi nati e ai loro genitori e si tratta di misure di sostegno economico non limitate nel tempo ma che trovano copertura anche per gli anni a venire, su cui quindi le famiglie possono far conto.
Vediamoli nel dettaglio:
- Bonus mamma: 800 euro a tutti i nuovi nati o adottati dal 2017. E’ corrisposto dall’INPS in un’unica soluzione;
- Contributo per asilo nido o assistenza domiciliare: 1.000 euro. Le famiglie con bambini piccoli possono chiedere il contributo di 91 euro al mese per 11 rate per pagare la retta dell’asilo nido, pubblico o privato. I genitori di bambini affetti da gravi patologie croniche possono usufruire dei 1.000 euro in un’unica soluzione per le spese di assistenza domiciliare.
- Fondo per il sostegno alla natalità: prestiti a tassi e condizioni vantaggiosi alle famiglie con bambini piccoli. È un Fondo istituito per rilasciare garanzie dirette, anche fideiussorie, alle banche e agli intermediari finanziari convenzionati.
- Voucher per babysitter o asilo nido: fino a 3.600 euro, in alternativa al congedo parentale. È stata prorogata per il 2017 e il 2018 la possibilità per le madri lavoratrici, anche autonome (grazie alla Legge di Stabilità 2016), di richiedere un contributo economico in sostituzione, anche parziale, del congedo parentale, per pagare baby-sitter o asilo nido.
- Bonus bebè: fino a 1.920 euro per le famiglie in difficoltà economiche. Introdotto con la Legge di Stabilità 2015, il Bonus bebè viene versato fino al terzo anno di vita del bambino (o al terzo anno dall’ingresso in famiglia del figlio adottato) per aiutare le famiglie con un Isee non superiore a 25 mila euro annui. L’importo può variare tra 80 e 160 euro al mese.
In totale, nel 2018, le misure che sono state stanziate per sostenere chi diventa genitore ammontano a oltre un miliardo e mezzo di euro.
Accanto a queste forme di sostegno “diretto” alle persone è iniziato un lavoro parallelo su altri due fronti: il potenziamento dei servizi per l’infanzia e un lavoro su leve di welfare aziendale, perché sono i servizi ad aiutare le donne a mantenere il proprio lavoro quando diventano mamme. È in questa direzione che ci siamo mossi finanziando il progetto “zero-sei” per potenziare asili nido e scuole per l’infanzia. Sono inoltre aumentati i congedi dal lavoro retribuiti per mamme e papà
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REI. Reddito d’inclusione
Il numero delle persone in condizione di povertà è cresciuto, tra loro in particolare i bambini: è cresciuto anche in aree dove un tempo non era considerata una emergenza, come in Liguria. Nuovi poveri si sono aggiunti a quelli “di sempre”: chi ha perso il lavoro, chi ha dovuto affrontare gravi problemi in famiglia, malattie, separazioni.
Sino ad oggi abbiamo assistito ad un “fai da te”, di Regioni e Comuni, con interventi dello Stato non continuativi e non omogenei sul territorio nazionale. Ci hanno pensato soprattutto associazioni e volontari.
Sino a quando il Parlamento non ha approvato una nuova legge e i provvedimenti attuativi: un sostegno economico e una presa in carico da parte dei servizi sociali per tutte le persone (a partire da luglio, tutte a prescindere dalla composizione del nucleo familiare) che hanno un reddito molto basso; un finanziamento che ora consente di aiutare chi ha meno di 6 mila euro di Isee. Ancora poco: non sono ancora coperti tutti i poveri assoluti, le cifre del contributo (da 180 a 540 euro al mese) dovranno essere aumentate. Ma lo stanziamento è significativo (due miliardi e 750 mila euro all’anno) e comprende anche una quota per rafforzare i servizi sociali dei Comuni, che dovranno sostenere le persone nella ricerca del lavoro, nella cura della salute propria e dei figli, e nel contratto all’abbandono scolastico: un importo tale da più che raddoppiare la dotazione del fondo nazionale per tutte le politiche sociali (che oggi è 300 milioni, a suo tempo fu azzerato dal governo Berlusconi).
Le Regioni possono e debbono integrare l’intervento previsto dalla legge nazionale: qualche Regione lo fa in modo razionale, qualcuna in modo meno coordinato; qualcuna non lo fa per nulla, come la Liguria, purtroppo. La realizzazione di un sistema più omogeneo ed efficace è esattamente la finalità della legge nazionale per il contrasto alla povertà. Nella prossima legislatura abbiamo l’obiettivo credibile di raddoppiare lo stanziamento per il Fondo Povertà, superando i cinque miliardi di euro, che sommati a quanto si spende per l’assegno sociale per gli anziani, consente di raggiungere tutte le persone in condizione di povertà assoluta. Fare funzionare il sistema dei servizi e le attività che esso dovrà promuovere in collaborazione con altre strutture pubbliche e con le organizzazioni del terzo settore: non è cosa che si possa fare in un giorno o in un mese: ma la legge nazionale è fatta in modo da fornire sostegni, incentivi e controlli anche in quella direzione. Per questo è una legge che può rivoluzionare il sistema: accadrà davvero se l’insieme delle istituzioni e la rete delle associazioni saprà realizzare una vera propria “alleanza contro la povertà”, anche nelle regioni e nei territori.
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Con Anna, parole chiare. Diritti
I diritti rendono le parole libertà e uguaglianza non termini vuoti e distanti, ma azioni concrete.
Abbiamo lavorato tanto in questi anni per rafforzare i diritti civili e sociali. Tanti passi avanti devo ancora essere fatti: è una linea tracciata che dobbiamo percorrere fino in fondo.
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Si chiama sconfitta
Parto dal ringraziare chi si è impegnato nella campagna elettorale, chi ha votato Pd, chi lo ha fatto anche con sofferenza (in tanti me lo hanno detto), per convinzione politica, o come ultima spiaggia o per stima personale.
Si chiama sconfitta, naturalmente. Ma è sconfitta non solo di una lista, di un partito in una competizione elettorale. Nessun diverso approccio alla campagna elettorale, nessuna mossa tattica, nessun colpo di teatro, e neppure un altro metodo di selezione delle candidature, avrebbe modificato sostanzialmente il risultato: neanche le persone sono state, siamo stati, “valore aggiunto”, se non in qualche isolato caso.
Perché sono processi profondi che hanno portato a questo risultato, è una crisi di proposta politica e di gruppi dirigenti.
L’azione di governo, i suoi stessi risultati, non sono stati percepiti dalla gran parte delle persone come tali, come risposta ad un malessere non solo materiale di tanti: soprattutto di chi sta peggio, o comunque peggio di prima.
I tentativi di rompere incrostazioni e rendite di posizione che in questi anni sono stati realizzati hanno avuto uno stampo “dirigista”, che non ha coinvolto in una trasformazione vera la società e le sue espressioni: per questo rimane solo la reazione negativa di quei poteri o rendite.
L’altalena di alti e bassi nel consenso, che in pochi anni ha portato il Pd prima a crescere e poi sostanzialmente a dimezzarsi, ha rappresentato un fenomeno “alla superficie” di qualcosa che sta in processi economico/finanziari, sociali degli assetti del potere, che non riguardano certo solo l’Italia
Inoltre, le ragioni del mutato quadro politico non possono essere ricercate nella “crisi dei partiti”. Il Pd si è fatto sempre meno partito, ma il Movimento Cinque stelle si è fatto sempre più “partito”, da movimento a forza che si candida a governare: come lo vedremo (forse).
Tutta la sinistra è spiazzata: divisa o unita, come ci hanno dimostrato le comunali a Genova.
Non penso che abbiamo sbagliato tutto. Ma l’opinione dell’elettorato non lascia margini di ambiguità. E ci si devono fare i conti.
Ci sarà il tempo di analisi meno superficiale e di decisioni che siano conseguenti.
La consapevolezza è l’unico modo per non vivere questo dopo voto solo con amarezza

Un filo rosso per…
Un filo rosso per…continuare a lavorare insieme
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Io Voto per un’Italia migliore. E Possibile
Il racconto di questo video è tratto dal Testo della filastrocca Il Paese Senza Errori di Gianni Rodari.
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Un sostegno reale per chi diventa genitore
Sono state tante in questi ultimi anni, le novità messe in campo da Parlamento e Governo per aiutare economicamente le giovani famiglie e favorire l’occupazione femminile.
Si tratta di veri e propri diritti riconosciuti ai nuovi nati e ai loro genitori e si tratta di misure di sostegno economico non limitate nel tempo ma che trovano copertura anche per gli anni a venire, su cui quindi le famiglie possono far conto.
Vediamoli nel dettaglio:
- Bonus mamma: 800 euro a tutti i nuovi nati o adottati dal 2017. E’ corrisposto dall’INPS in un’unica soluzione;
- Contributo per asilo nido o assistenza domiciliare: 1.000 euro. Le famiglie con bambini piccoli possono chiedere il contributo di 91 euro al mese per 11 rate per pagare la retta dell’asilo nido, pubblico o privato. I genitori di bambini affetti da gravi patologie croniche possono usufruire dei 1.000 euro in un’unica soluzione per le spese di assistenza domiciliare.
- Fondo per il sostegno alla natalità: prestiti a tassi e condizioni vantaggiosi alle famiglie con bambini piccoli. È un Fondo istituito per rilasciare garanzie dirette, anche fideiussorie, alle banche e agli intermediari finanziari convenzionati.
- Voucher per babysitter o asilo nido: fino a 3.600 euro, in alternativa al congedo parentale. È stata prorogata per il 2017 e il 2018 la possibilità per le madri lavoratrici, anche autonome (grazie alla Legge di Stabilità 2016), di richiedere un contributo economico in sostituzione, anche parziale, del congedo parentale, per pagare baby-sitter o asilo nido.
- Bonus bebè: fino a 1.920 euro per le famiglie in difficoltà economiche. Introdotto con la Legge di Stabilità 2015, il Bonus bebè viene versato fino al terzo anno di vita del bambino (o al terzo anno dall’ingresso in famiglia del figlio adottato) per aiutare le famiglie con un Isee non superiore a 25 mila euro annui. L’importo può variare tra 80 e 160 euro al mese.
In totale, nel 2018, le misure che sono state stanziate per sostenere chi diventa genitore ammontano a oltre un miliardo e mezzo di euro.
Accanto a queste forme di sostegno “diretto” alle persone è iniziato un lavoro parallelo su altri due fronti: il potenziamento dei servizi per l’infanzia e un lavoro su leve di welfare aziendale, perché sono i servizi ad aiutare le donne a mantenere il proprio lavoro quando diventano mamme. È in questa direzione che ci siamo mossi finanziando il progetto “zero-sei” per potenziare asili nido e scuole per l’infanzia. Sono inoltre aumentati i congedi dal lavoro retribuiti per mamme e papà
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REI. Reddito d’inclusione
Il numero delle persone in condizione di povertà è cresciuto, tra loro in particolare i bambini: è cresciuto anche in aree dove un tempo non era considerata una emergenza, come in Liguria. Nuovi poveri si sono aggiunti a quelli “di sempre”: chi ha perso il lavoro, chi ha dovuto affrontare gravi problemi in famiglia, malattie, separazioni.
Sino ad oggi abbiamo assistito ad un “fai da te”, di Regioni e Comuni, con interventi dello Stato non continuativi e non omogenei sul territorio nazionale. Ci hanno pensato soprattutto associazioni e volontari.
Sino a quando il Parlamento non ha approvato una nuova legge e i provvedimenti attuativi: un sostegno economico e una presa in carico da parte dei servizi sociali per tutte le persone (a partire da luglio, tutte a prescindere dalla composizione del nucleo familiare) che hanno un reddito molto basso; un finanziamento che ora consente di aiutare chi ha meno di 6 mila euro di Isee. Ancora poco: non sono ancora coperti tutti i poveri assoluti, le cifre del contributo (da 180 a 540 euro al mese) dovranno essere aumentate. Ma lo stanziamento è significativo (due miliardi e 750 mila euro all’anno) e comprende anche una quota per rafforzare i servizi sociali dei Comuni, che dovranno sostenere le persone nella ricerca del lavoro, nella cura della salute propria e dei figli, e nel contratto all’abbandono scolastico: un importo tale da più che raddoppiare la dotazione del fondo nazionale per tutte le politiche sociali (che oggi è 300 milioni, a suo tempo fu azzerato dal governo Berlusconi).
Le Regioni possono e debbono integrare l’intervento previsto dalla legge nazionale: qualche Regione lo fa in modo razionale, qualcuna in modo meno coordinato; qualcuna non lo fa per nulla, come la Liguria, purtroppo. La realizzazione di un sistema più omogeneo ed efficace è esattamente la finalità della legge nazionale per il contrasto alla povertà. Nella prossima legislatura abbiamo l’obiettivo credibile di raddoppiare lo stanziamento per il Fondo Povertà, superando i cinque miliardi di euro, che sommati a quanto si spende per l’assegno sociale per gli anziani, consente di raggiungere tutte le persone in condizione di povertà assoluta. Fare funzionare il sistema dei servizi e le attività che esso dovrà promuovere in collaborazione con altre strutture pubbliche e con le organizzazioni del terzo settore: non è cosa che si possa fare in un giorno o in un mese: ma la legge nazionale è fatta in modo da fornire sostegni, incentivi e controlli anche in quella direzione. Per questo è una legge che può rivoluzionare il sistema: accadrà davvero se l’insieme delle istituzioni e la rete delle associazioni saprà realizzare una vera propria “alleanza contro la povertà”, anche nelle regioni e nei territori.

Con Anna, parole chiare. Diritti
I diritti rendono le parole libertà e uguaglianza non termini vuoti e distanti, ma azioni concrete.
Abbiamo lavorato tanto in questi anni per rafforzare i diritti civili e sociali. Tanti passi avanti devo ancora essere fatti: è una linea tracciata che dobbiamo percorrere fino in fondo.